Leo Gullotta torna nella sua Catania con “Bartleby lo scrivano”

È una giornata qualunque nel prestigioso studio di un avvocato. Una giornata in cui tutto scorre identico, noioso e paziente. Finché un uomo da nulla, lo scrivano Bartleby decide di rispondere a qualsiasi richiesta con “Avrei preferenza di no”. E’ questo l’inizio della turbolenza che si scatena in Bartleby, lo scrivano, spettacolo in cui un ineguagliabile Leo Gullotta interpreta quell’uomo da nulla, capace di innescare il caos nell’ordinario conformismo del suo luogo di lavoro. Prodotto da Arca Azzurra, lo spettacolo di Francesco Niccolini, liberamente ispirato al racconto di Herman Melville, è direttoda Emanuele Gamba e approda al Teatro Brancati di Catania venerdì 25 marzo (ore 21) con altre due repliche sabato 26 (ore 17.30) e domenica 27 (ore 17.30). In scena, ad affiancare Leo Gullotta, ci sono gli attori Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci.

Lo spettacolo, come lo definisce Leo Gullotta – che per l’occasione torna nella sua Catania – è una pièce “sul conformista che è in noi”. «Il pubblico – spiega l’attore – ne rimane affascinato e viene sedotto dal personaggio di Bartleby che è un uomo anomalo, particolare: un vero alieno che crea un vortice quando mette in pratica la sua scelta di non partecipare alle vite ferocemente normali degli altri».

E questa commedia sul conformismo si rivela profondamente attuale. «Non mancano le ironie e le sottigliezze – continua Gullotta – ma si tratta di un testo attualissimo che scuote prepotentemente la nostra parte conformista, lasciandoci con le domande: quanto è importante dire di no? Io ci sono mai riuscito? Il racconto di Melville, da cui è tratto il testo, è disarmante e sembra, praticamente, scritto ai giorni nostri. E, per quanto mi riguarda, posso dire che come Leo mi sento profondamente vicino a quel sentire di Bartleby e amo molto la frase “Avrei preferenza di no”».

Solo quattro parole, in fondo, dette sottovoce, senza violenza e senza senso, ma tanto basta a sovvertire l’ordine prestabilito. «Un gentile rifiuto – spiega l’autore Francesco Niccoliniche paralizza il lavoro e la logica: una sorta di inattesa turbolenza atmosferica che sconvolge tanto l’ufficio che la vita intima del datore di lavoro. Da quel momento Bartleby si spegne… Perché ha, semplicemente, deciso di negarsi. Perché? Quando lo scopriremo, sarà troppo tardi. Il silenzio inspiegabile di Bartleby ci turba e ci accompagna da un secolo e mezzo: perché sulla sua scrivania non batte mai il sole? Da dove viene la sua divina povertà? Perché non è possibile salvarlo? Perché non vuole essere salvato?».

Abituati a una certa idea di sviluppo e crescita senza limite, Bartleby ci lascia spiazzati: in lui nessuna aspirazione alla grandezza, solo rinuncia.

«L’ossessionato e ossessivo capitano Achab di quel Moby Dick che Herman Melville scrisse nel 1851 – dice il regista Emanuele Gamba in questo testo di appena due anni dopo, si è trasformato in Bartleby, l’ultimo dei marinai arruolato, eppure capace di realizzare una lenta, progressiva, pacata messa in crisi di un sistema di cui non riconosce il valore positivo. Mentre tutto e tutti (scrivani, religiosi, soldati, banchieri, politici, artisti) procedono aggressivi e baldanzosi, forse colpevolmente ignari, fra nuove ricchezze e nuove schiavitù, l’ultimo entrato in scena si mette di traverso e con una frase che sembra arrivata da un remoto passato monastico e avvia un inesorabile processo dubitativo di disgregazione di un moloch che si incarna nel binomio “lavoro/dovere”».