Grande successo e partecipazione per lo spettacolo “Libere – Donne contro la mafia” andato in scena lo scorso 19 Luglio al Castello Ursino di Catania in occasione della commemorazione delle stragi di Capaci e di via D’Amelio e di tutte quelle vite spezzate orribilmente in quel tragico attentato mafioso.
Una serata da ricordare per ancora tanto tempo, cominciata con la recita di una sorta di rosario laico in cui sono stati elencati i nomi, tutti i nomi, dei martiri coinvolti.
Lo spettacolo. che come ha ricordato alla fine la regista, è stato un pretesto per fare memoria e per chiedere ancora, dopo trentuno anni, verità e giustizia, si è svolto in un silenzio religioso rotto solo da alcuni applausi a scena aperta.
Il cast, formato da Cinzia Caminiti che ha curato pure la scrittura del copione e la regia, nella parte delle due dolenti madri (diverse tra loro per temperamento e per ciò diversamente interpretate): Francesca Serio e Felicia Bartolotta; Barbara Cracchiolo che ha portato in scena con maestria Rosaria Costa Schifani la moglie dell’agente ammazzato a Capaci insieme a Giovanni Falcone; Sabrina Tellico è stata un’intensa Piera Aiello che a sua volta racconta Rita Atria (a picciridda); Simona Gualtieri giovane e convincente Daniela Ficarra fidanzata di Enzo Brusca.
A vederlo sembrerebbe un lavoro in cui le parti individuali sono preminenti e di fatto lo è, ogni interprete porta in scena una vera e propria prova d’attrice, in realtà è soprattutto un lavoro corale, il personaggio non è mai solo e il racconto di una è il racconto di tutte soprattutto nel finale quando a recitare il sogno di Michela Buscemi “a morti da mafia” sono un tutt’uno e riescono a dare una piega di speranza e di gioia a tutta la performance.
Un testo semplice e forte che già si regge da solo per la profondità e la potenza delle parole. Per non dire della regia asciutta, densa mai eccessiva giocata su più livelli: parola\racconto e anima\ pensiero.
Ecco in breve la struttura: Quattro donne arrivano da lontano, vestite allo stesso identico modo, di nero, armate di valigie, in silenzio, dal fondo e il palcoscenico nudo, privo di ogni orpello le accoglie diventando “il teatro” dove, una volta giunte, incontrano paura e dolore e dove da questo “luogo non luogo” si racconteranno, si daranno, letteralmente, anima e corpo a chi le vorrà ascoltare. Tra loro c’è intesa, c’è solidarietà, c’è pietas: si guardano, si accarezzano, si abbracciano, si consolano. Sono donne che hanno visto in faccia la morte per mano della mafia e se la portano dietro come un fardello.
Struttura registica meticolosa, sensibile. Chiave di lettura sicura, onesta, sincera. Niente sconti dice: “se devo raccontarla la mafia la racconto così com’è. Feroce. Tutto quello che è stato narrato serve a chiarire con cosa abbiamo avuto a che fare e contro cosa abbiamo combattuto. Serve a chiarire contro cosa, ancora, dobbiamo lottare e cosa c’è da contrastare e sperare”.
Gli spettatori, attenti per più di sessanta minuti (durata della performance), non hanno mai sentito enfasi, né retorica, nessuna cosa detta o fatta è stata banale, le donne di queste storie sono dignitose nella loro pena e la raccontano senza nessun imbarazzo o vergogna come solo le donne sanno fare. Questo dolore le mette nella posizione di chi è in credito con la vita. Questo dolore mai superato le rende coraggiose, combattive e quindi libere.
Durezza e poesia insieme: Nero e colori, pianto e speranza, lutto e sogno, Storia e futuro. Tutto frutto di una sensibilità femminile, ecco la forza di questo lavoro geniale: Raccontare la mafia attraverso il dolore di donne che l’hanno prima vissuta e e poi combattuta.
Un grande lavoro di ricerca e di studio dei personaggi è stato fatto per arrivare a questi risultati, ricerca effettuata sulla cronaca o tratta da interviste, dalla letteratura, ricerca riuscitissima pure per le musiche gestite egregiamente da Nicoletta Nicotra.
Lo spettacolo come tutti i migliori spettacoli è ricco di simboli, la pioggia, il pupazzo, le coppole e la pancia, i veli neri, i fuochi d’artificio, le foto in grembo a chi aspetta giustizia, soluzioni registiche di grande impatto ed emotività.
Un lavoro come questo merita un ampio circuito teatrale e merita di essere visto non solo dai ragazzi delle scuole ma da educatori, insegnanti, genitori, dirigenti scolastici e di comunità, merita di essere portato in grandi teatri.
“La mafia va combattuta in ogni modo e noi adoperiamo il teatro, mezzo efficacissimo, per arrivare al cuore e alla pancia della gente, non smetterò mai dirlo” sostiene Cinzia Caminiti.
Da Francesca Serio, madre del sindacalista Salvatore Carnevale, prima donna italiana collaboratrice di giustizia negli anni 50, a Piera Aiello anch’essa collaboratrice vissuta per più di 20 anni sotto protezione con un falso nome; da Rosaria Costa Schifani “Io vi perdono ma voi vi dovete mettere in ginocchio” a Rita Atria anche lei collaboratrice di giustizia e vittima di mafia (le avevano ucciso il padre e il fratello), diciassettenne morta suicida e di solitudine dopo l’attentato di via D’amelio che l’ha vista orfana del “suo secondo padre” Paolo Borsellino; da Daniela Ficarra fidanzata di Enzo Brusca colpevole di aver ucciso sciogliendolo nell’acido il piccolo Giuseppe di Matteo a Felicia Bartolotta Impastato che per 22 anni aspettò d’avere giustizia seduta davanti la porta di casa (Oggi Casa Memoria Peppino Impastato)
Il pubblico numeroso ha salutato la piece e la compagnia con una lunghissima e meritatissima standing ovation.
La serata si è conclusa con un intervento dell’Avvocato Enzo Guarnera presidente dell’Associazione Antimafia e Legalità che ha saputo portare avanti pure un breve dibattito con il pubblico presente.